Certo, non vorrei trovarmi al posto di Giuseppe Conte. Però un poco (in realtà tan-tissimo) lo invidio.
Negli anni 70 ebbi la possibilità, da esponente di una nota acciaieria milanese, di soggiornare per lavoro in Svezia presso un grande kombinat: la AktieBolaget Bofors. Avevo 33/34 anni: il lavoro, proprio in quanto tale, era per me una scoperta appassionante (mi ero laureato al Poli di Milano a 23 anni, e tutto ciò che incontravo costituiva per me un fascino puro). Una sera (alle 17 e 3 minuti): il Presidente della Bofors – un uomo molto alto sulla cinquantina o forse anche meno che aveva ‘staccato’ come tutti alle 17 in punto – mi invitò a casa sua e per prima cosa mi mise in mano un bicchierone di cognac francese: se non ricordo male era Courvoisier, il che mi sgomentò, visto che ero quasi astemio….
Ricordo questa scenetta per raccontare un commento di questo uomo d’affari che mi accompagnò poi per tutta la vita. E che, a modo mio, applicai a me stesso sempre convinto. “Un uomo dovrebbe cambiare mestiere almeno una volta ogni sette anni” mi disse e io sobbalzai: ma che dice questo? E tutta l’esperienza accumulata dove finisce? “Quando dico ‘mestiere’ mi riferisco ad un cambio radicale, anche di azienda: dall’acciaio alle calze da donna, ai dentifrici piuttosto che all’automaking”. Oddio, pensai, ha appena bevuto un goccio di cognac ed è già fuori di testa….
“L’esperienza, quella che lei teme di perdere, in realtà è ben ancorata nella nostra personalità: ma è quella che si chiama ‘professionalità’: è valida ed acquisita per ogni applicazione. Vale per gli acciai, ma vale anche per i dentifrici, per le calze da donna o per le penne Bic. Quello che non cambiando si viene invece a perdere è la ‘creatività individuale’: la capacità (e soprattutto la volontà) di elaborare idee nuove, capacità che – in misura maggiore o minore – ogni uomo possiede. Ed è questa una perdita colossale, per tutti’.
Sulle prime confesso che rimasi sbalordito, soprattutto pensando a quanto difficile sarebbe stato applicare questa riflessione in Italia. Ma aveva ragione perché solo con questi strappi si può cercare di produrre nuove idee e di conservare una capacità di vivere fuori schema, in pieno rinnovamento creativo.
E qui torno a Giuseppe Conte e al perché lo invidio proprio.
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Avvocato di successo, nato in uno sperduto paesino della Puglia, all’improvviso viene chiamato a presiedere il Consiglio dei ministri: come avrebbe detto Antonio Di Pietro, ‘ma che c’azzeccava con la sua esperienza professionale?’. E non solo diventa premier, gli esplode pure tra i piedi uno scherzuccio da niente che si chiama pandemia: e l’avvocatone lo regge alla grande, arrivando perfino a costituire un esempio cui tanti altri Paesi, anche stragrandi, si rifaranno. Contemporaneamente si tiene in esercizio gestendo due governi con cambio (radicale) della maggioranza: prima gestendo la componente fascistoide della Lega e poi quella socialdemocratoide del Partito Democratico.
Infine lui, sempre il solito avvocato di Volturara Appula, giunto all’improvviso e sprovveduto di fronte ad un gravissimo problema di liquidità dello Stato italiano, uno Stato non certo ben accreditato nel mondo del potere planetario (la grande Finanza…), si inventa il Recovery Fund europeo: lo propone a Bruxelles, lotta e supera gli ostacoli, convince un gruppo di sostanzialmente riottosi ad accettarlo e a metterlo in esecuzione, e porta a casa anche la promessa di un mare di soldi cui, in Italia, nessuno – ma proprio nessuno – aveva mai osato neppure pensare.
Oh perdinci! Questo sì che è essere capaci di ‘uscire dagli schemi’ e di inventarsi qualcosa di nuovo! Giuseppe Conte è stato capace di applicare – alla grande – la massima del Presidente della Bofors: e con grande successo.
Il tempo passa, la lotta politica crea scenari diversi e Conte è costretto a lasciare Palazzo Chigi, sotto una grandinata di applausi che mai sono stati dati ad un inquilino del palazzo, e si ritira nella sua professione.
Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle va in crisi. Non è vero che sparisce, è ancora tutto lì, ma è sbandato, senza una linea, in preda ad una normalissima crisi caratteristica dei partiti personali che non crescono e si incistano nel pensiero del Capo. E il Capo, Grillo, pure va in crisi, una crisi difficile e, a mio avviso, irreversibile. E chi ricompare? Giuseppe Conte. Una persona preziosa, superpreziosa, perché capace di uscire dagli schemi. Capace di grande creatività, scaturente anche dalla sua sostanziale gioventù d’anni e di pensiero. È un ‘fuori schema’ e sono certo che, oltre a qualche tremarella umanamente doverosa, in cuor suo stia gustando l’idea di cimentarsi in una scommessa ancora nuova, dove vanta una totale non-esperienza. Al di là della tremarella, so che ne sarà felice.
Forza avvocato! È sulla strada giusta: avrà dietro di sé schiere di coraggiosi pieni di speranza: non fallirà. Mi dispiace di essere leggermente vetusto: ma l’idea di dargli – non so come – una mano mi farebbe felice. E, come me, tanti italiani validi.